Recensione di Fabrizio Bolognesi
Autore: Paolo Mascheri
Titolo: Il gregario
Edizioni: Minimum fax, Roma 2008
Pagine: 173
Non scegliere. Non decidere. Ma accettare. Se c’è una lezione che adesso il destino gli sta dando,lui non ha dubbi che è questa. In queste due righe di incipit è contenuta tutta l’essenza di questo sorprendente romanzo. Le descrizioni dei personaggi (in particolare nell’introspezione psicologica) e degli ambienti che ne escono fuori lasciano un’incredibile sensazione di spaesamento, asserirei quasi glaciale. Non siamo nel Sud più profondo, dominato dalla miseria e dall’incapacità di affrancarsi da una realtà opprimente e soffocante, e neppure nel ricco Nord Est, ugualmente opprimente ma per altre ragioni; siamo nel brulicante Chianti, dove mai nessuno si aspetterebbe che il nostro innominato, apparentemente baciato in tutto dalla vita, viva il suo personale dramma. La descrizione abbozzata del personaggio nelle prime due pagine offrono già al lettore delle coordinate precise suscitando immediatamente delle prime domande: come è possibile che un ragazzo che guadagna bene, futuro erede della farmacia di famiglia, di bell’aspetto, fidanzato con una ragazza borghese, sia pervaso da un lancinante male interiore che tenta di divorarlo come un tarlo? La grande capacità letteraria di Mascheri sta nell’aver eroso pian piano ciascuno di questi apparenti punti fermi dell’esistenza auspicata da ognuno trasformando, o quanto meno dispiegando nelle sua essenza,la realtà di un uomo che parte da capitano e strada facendo diventa un quasi anonimo gregario, per poi in prossimità (o meglio, poco dopo) dell’arrivo tentare un colpo di coda, forse risolutore o quanto meno riparatore. La metafora ciclistica è quanto mai azzeccata: gregario e capitano pedalano sulla stessa bicicletta, percorrono gli stessi chilometri sulla stessa strada, talvolta vanno in fuga ma, mentre la fuga del capitano è finalizzata alla vittoria finale, quella del gregario funge solo da apripista, la sua fatica è sempre a beneficio di altri; quando cerca di rompere gli schemi, frantumando le scalette preparate da altri avrà forse una vittoria, ma questa si rivelerà ben presto effimera e soprattutto distruttrice. Anche il nostro protagonista decide improvvisamente di andare in fuga, ma trattasi di fuga improvvisata, disperata e solitaria, senza alcun compagno di viaggio che possa dargli il cambio nei momenti di fatica estrema; e così cerca di crearsi un’attività propria, lascia la fidanzata, tenta di rompere il legame col padre (divenuto sempre più ingombrante), cerca di rinverdire i suoi vezzi artistici, instaura una nuova relazione con una ragazza ucraina. Tutto sembra andare per il verso giusto, il nostro gregario ha creato un gap tra sé e il gruppo che appare sufficiente. Ma si sa, se non mantieni un’andatura costante e ci sono ancora tanti chilometri da percorrere è quasi inevitabile che il gruppo rinvenga e, beffa delle beffe, ti superi in prossimità del traguardo. Il gregario, figura quasi poetica del ciclismo, è qui un personaggio di ignobile mediocrità, intrappolato dentro i recinti di una vita disegnata da altri, nella quale lui, come fumetto pensante ma non parlante, difetta della capacità di scarto che potrebbe elevarlo dal semplice ruolo di comprimario. Mascheri, col suo stile scarno e glaciale, fatto di continui monologhi interiori non ci fa entrare in empatia con alcuno dei personaggi e ci conduce verso un finale che sorprende per umanità e realismo; la mancata empatia non significa tuttavia assenza di immedesimazione perchè il personaggio principale è così vero, così figlio dei nostri tempi che è pressochè impossibile non rinvenirne tratti che ci appartengono. La descrizione della provincia gela il sangue ed è lontana anni luce dalle cartoline che siamo abituati a vedere; è qui talmente grigia che neppure il sole è capace di penetrare la coltre che l’avvolge. Il gregario è in fondo un borghese piccolo piccolo, un uomo medio che nel momento in cui ha cercato di elevarsi è stato rispedito immediatamente in basso. Ma forse, una piccola speranza esiste anche per lui, se non prima del traguardo che gli consenta la vittoria, almeno successivamente, dopo un’adeguata e dolorosa presa di coscienza. In fondo accettare una routine si può: a patto che la routine sia perfetta.